Eccoci qui! Nessun silenzio stampa, solo che cerchiamo di inserirci nella cultura kenyota, e anche l’african time è parte di essa… Scherzi a parte, si torna tardi dal lavoro, un giorno manca l’acqua, un giorno manca la luce, un giorno entrambi. Un giorno si insegue uno scarafaggio, un giorno un topo, un giorno entrambi. E arrivano le 11 di sera e si va a letto.
Per giorni e giorni ho pensato se fosse opportuno o meno scrivere qualcosa rispetto ad una triste esperienza che abbiamo avuto:la morte della bimba di Lucy, una signora che lavora con noi in comunità. Poco meno di due anni, polmonite e meningite fulminante.
Vi chiederete perché ve ne voglia parlare, e lo spiego subito. È stata prima di tutto drammaticalmente coinvolgente e rende evidente il senso di comunità di questa nazione. Il secondo motivo è che un giorno, in una riunione di gruppo con i ragazzi è stato chiesto quale fosse stato il migliore momento della settimana, e loro hanno risposto “il funerale”, e questo mi ha fatto riflettere.
Ed è del funerale che ho deciso di parlarvi. Perché qui è vissuto come una festa, come un momento di raccolta delle persone care, come un evento. È durato 6 ore. Ora inizio a raccontare e capirete.
Prima di tutto ci siamo trovati alla camera mortuaria dell’università di Nairobi, per dare l’ultimo saluto alla salma a bara aperta. Il momento è stato immortalato dai fotografi, che si aggiravano tra la folla scattando foto a più non posso. Ricordatevi questo particolare.
La bara è stata chiusa, e un corteo di macchine, ognuna con un cordoncino rosso attaccato al finestrino, qualcuno attaccato al furgone che filmava, ha viaggiato per due ore nell’entroterra kenyota, fino ad arrivare alla casa della famiglia di Lucy. Qui è stato allestito un tendone, con sedie, panchine, poltrone, divani: ogni vicino di casa ha portato quello che aveva per aiutare la famiglia a far accomodare tutti.
Prima della messa, il momento foto. Al microfono hanno chiamato prima i parenti più stretti, poi le suore, poi i colleghi, poi gli amici… e con ognuno è stata fatta la foto di rito, con le persone strette vicine alla mamma, al papà e ai fratellini della bimba. È arrivato poi il momento delle dediche: chi dedicava una canzone, chi una preghiera, chi un discorso di ricordo. E poi è iniziata la messa, due ore di canti, preghiere, discorsi…
Alla fine della funzione, il corteo si è mosso in mezzo alle colline terrose , tra alberi e arbusti la gente si è riversata giù per il pendio fino ad arrivare al luogo prescelto per la sepoltura. Un punto da cui si potesse osservare la valle, e qui è stato riversato del cemento bianco per formare la tomba. Mentre il prete dava l’ultima benedizione, la bara è stata calata lentamente dagli amici della famiglia.
E qui parte il punto più emozionante e più significativo della cerimonia: ad uno ad uno, tutti i presenti, hanno preso un pugno di terra per coprire la bara, alcuni posavano i fiori, le donne ad una ad una prendevano la pala per riempire la tomba, dandosi il cambio.
La folla è poi tornata nella casa, dove è stato offerto il pranzo.
Quando ho guardato la mia mano e ho visto la terra rossa sciolta sul mio palmo, mi sono sentita parte della comunità, che si è stretta immediatamente intorno alla famiglia, che in modo generoso ha offerto i propri soldi e il proprio aiuto per organizzare la cerimonia. E anche i ragazzi, quando hanno detto che era stato il giorno migliore della settimana, intendevano dire proprio questo: eravamo tutti insieme, tutti uniti e tutti vicini a Lucy. Non abbiamo semplicemente partecipato alla funzione, ma abbiamo fatto il possibile per aiutare la famiglia in un momento difficile e per dare il migliore saluto alla bimba. E in questo non siamo stati soli, ma stretti e inclusi nella comunità. Una comunità da cui noi come wazungu e i ragazzi come ex carcerati a volte ci sentiamo additati come "diversi", ma in un momento come questo, le differenze si lasciano da parte, le persone si incontrano, si conoscono e si aiutano a vicenda.
(Unico elemento stonato: le fotografie alla camera mortuaria sono state vendute a fine cerimonia fuori dalla casa. 15 centesimi l’una. Foto della famiglia e degli amici che piangevano. Io e Emanuele, un po’ perplessi, abbiamo pensato molto rispetto a questo aspetto. Forse la tecnologia è arrivata fin qui senza portarsi dietro le riflessioni sulla privacy, sull’assenso alle foto, sul pudore di ritrarre alcune situazioni. Oppure più semplicemente non viene vissuta come un invasione, quando anche un momento triste si trasforma in una festa, la foto ricordo diventa importante, anche se questo comporta vedere le lacrime di una persona cara.)