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venerdì 25 marzo 2011

Festival in ufficio!

Rieccoci!
Benvenuti al secondo e attesissimo appuntamento con il "Jordan Caritas Ambrosiana Picture Festival"!!
IL tema di Marzo è "Caritas-Office, Open-Office, Microsoft-Office"!
Ricordo ai magnanimi e cordiali spettatori di votare la foto preferita!



I trettré: Atos, Portos e Aramis


Ma tu vulive 'a pizza, 'a pizza, 'a pizza, cu 'a pummarola 'ncoppa... 'a pizza e niente cchiù!!!



CSI: Miami


Ricordo che votare è semplicissimo: "VOTO" + nome della foto.
Al primo votante in omaggio il "reportone" della Giordania autografato!!
Si dia inizio al voto!

giovedì 24 marzo 2011

REGRESAMOS.. Ed io speramo che me la cavo



Questa canzone la dedico a voi ..


Nostalgica lo sono di familiarità : mio fratello d'altronde si chiama Fabrizio (e per fortuna è lui il primogenito, altrimenti oggi io sarei Fabrizia?).



L'ho scelta in genovese , così che la possano comprendere un po' tutti: africani, milanesi , spagnoli e Napoletani!!!



E a voi che domani non vedrete il mare, non mi resta che dirvi.. spiacente!



"Il mondo è la mia casa".. ma è tanto bello tornare da mammà!










A presto!

mercoledì 23 marzo 2011

[OT] Reportage da Haiti 1: Matteo racconta

Oramai non ci fai più caso e non lo ascolti più da parecchi viaggi, ma questa volta non evito di sentire l’annuncio che dall’altoparlante recita “benvenuti a Port au Prince, vi auguriamo un piacevole soggiorno”.
C’è qualcosa che stona, si mantiene una normalità che già fa a pugni con i pochi scorci della città che sono passati sotto i finestrini.
Sì, perché non mi era mai capitato di vedere una città con solo tetti di lamiera arrugginita interrotti da enormi spazi occupati dalle tende degli aiuti internazionali.
Di gente nelle tendopoli ce n’è ancora tantissima, qualcosa si è fatto certamente, di aiuti ne sono stati mandati, ma la gran parte non sono ancora stati spesi, ci sono, ma Haiti non ha ancora un presidente e quindi mancando un minimo di regia è impossibile iniziare dei lavori strutturali, intanto la gente si arrangia come può e come purtroppo è abituata a fare da tanto, troppo tempo. Un anno fa ci sono state le elezioni, dalle quali sono usciti, non senza l’intervento della comunità internazionale, due candidati. Nei prossimi giorni ci sarà il ballottaggio la scelta è tra Martelly un cantante di musica locale che ha come spot elettorale e programma ha “tete kale” ovvero “testa rapata” vista sua brillante chioma, l’altro candidato è la signora Manigat, come curriculum può vantare di essere la vedova di un ex presidente, poco promettente per il cambio che Haiti ha bisogno, ma pure Martelly che si presenta come volto e chioma nuova non promette bene visto il populismo che spara dai suoi altoparlanti e più seriamente visto che ha già fatto accordi con il governo uscente, ad oggi lo danno come favorito.
Prima di uscire dall’ areo i saluti di rito delle hostess sembrano ritrovare un po’ di onestà intellettuale e tralasciato il bon ton aziendale e si lasciano ad un più sincero “take care”.
Saliti sull’auto che ci porterà a casa degli operatori di Caritas Italiana la città si offre per quello che dall’ alto promette: strade affollate, traffico di fuoristrada, i segni del terremoto sono praticamente ovunque, le tende sono disposte in campi organizzati dove da poco è stata messa l’illuminazione pubblica per cercare di limitare la criminalità. Ci sono altre tende che sono sorte spontaneamente un po’ ovunque, sono persone che erano ospiti da amici e parenti che hanno dovuto abbandonare questi posti ed ora si arrangiano ricavando qualche metro tra gli anfratti delle strade.
Chiacchierando con gli operatori di Caritas Italiana, ci descrivono la loro quotidianità; l’interazione con gli haitiani non è facile, la sicurezza mette distanze difficili da colmare, ma anche dove l’interazione è possibile lo stereotipo del bianco visto come portafoglio “gambe dotato” è forse la barriera ancora più grande. Inoltre gli abitanti di Port au Prince non sono entusiasti della presenza internazionale, il costo della vita è aumentato da quando ha ricevuto il personale espatriato, sulle strade martoriate e già affollate si è aggiunto il traffico dei fuoristrada delle varie agenzie che manda in tilt la circolazione. Lavorare per le ONG non è facile. L’interazione con la burocrazia Haitiana è pesante, i tempi si moltiplicano, si perde di efficacia, alimentando lo stereotipo che non si sta lavorando, ma è anche l’unico modo di creare qualcosa che ha la possibilità di avere qualche futuro.
Gli operatori vivono praticamente con la scorta, i protocolli di sicurezza delle ONG sono dettagliatissimi, muoversi a piedi non è consentito ed in macchina è quasi obbligatorio un autista locale per non entrare in anfratti pericolosi;
in caso di incidente stradale è consigliato non fermarsi, ma mettersi in sicurezza e successivamente presentarsi alla polizia; le abitazioni, oltre alle recinzioni con filo spinato, sono munite di guardiano armato, anche se delle volte bisogna proteggersi dal guardiano stesso che si presenta ubriaco. In questo caso non è consigliabile licenziarlo, visto che è armato e conosce la casa e le abitudini degli occupanti: è meglio assumere un secondo guardiano per controllare il primo e la casa. Alcuni organismi addirittura chiedono ai loro espatriati di comunicare costantemente con il proprio responsabile della sicurezza, quindi dal sms del ” sto uscendo per arrivare in ufficio” fino a quello della buona notte si ha questa presenza da mamma da tenere costantemente informata su ogni spostamento. Prelevare dei soldi non è consigliabile: ci sono stati casi di assaltanti fuori dalle banche che sapevano esattamente l’importo appena ritirato. Quindi: vatti a fidare delle banche! Il numero di rapine e rapimenti è ancora molto alto: in parecchi casi ad essere rapiti maggiormente sono i bambini, il cui riscatto sembra essere più alto.
Visitando qualche progetto e parlando con alcuni missionari di diverse congregazioni mi rendo conto che su una cosa sono tutti d’accordo che si riassume nelle parole di Suor Luisa: “se vuoi lavorare, qui da fare ce n’è tanto”.
Matteo Fietta

martedì 22 marzo 2011

[OT] Davide ad Haiti 2 - Una scuola per i bimbi di Thomazeau

8 marzo ad Haiti. La festa della donna non trova eco a queste latitudini.



Accompagnati da suor Isabel Sola, religiosa spagnola della congregazione di Gesù Maria, e da altre 3 donne, stamattina ci rechiamo a Joineau, un piccolo villaggio del municipio di Thomazeau, 35 km ad est della capitale Port-au-Prince, ancora meno dalla frontiera con la Repubblica Domenicana.


Suor Isa lavora qui da anni, il suo intervento è particolare: non apre centri, scuole o ospedali che verranno gestiti da lei e dalla sua congregazione religiosa, bensì nella zona dove è presente supporta e rafforza alcuni interventi socio-educativi già esistenti o in embrione.


E’ quanto è successo nell’incontro a Joineau con la comunità locale, un villaggio di circa 4.000 abitanti senza una scuola materna. Ad Haiti lo Stato riesce ad occuparsi solamente del 10% dei bambini della scuola elementare e media mentre non realizza alcun intervento con i bimbi più piccoli.



Dall’incontro tra suor Isa e gli operatori di Caritas Italiana presenti a Port-au-Prince è nato così questo progetto, che mira a costruire una scuola materna che accoglierà circa 120 bambini da 3 a 6 anni. La scuola sorgerà a fianco della piccola chiesa della comunità e sarà aperta a tutti i bambini della zona, in particolare a quanti hanno perso i genitori durante il terremoto. Suor Isa, che visita periodicamente le comunità della zona, ha già cominciato un percorso di formazione per gli insegnanti della scuola, perché possano accogliere nel modo migliore i piccoli che frequenteranno la scuola di Joineau.


Abbiamo così deciso di sostenere l’intero progetto. I lavori dovrebbero cominciare a settimane e nel giro di 4-5 mesi questi bimbi potranno giocare e imparare in uno spazio adeguato.



Davide, 8 marzo 2011

lunedì 21 marzo 2011

[OT] Davide ad Haiti 1 - Ayiti cherie

Dopo quasi un anno dalla mia prima visita ad Haiti eccomi nuovamente in questa terra martoriata continuamente dalle emergenze e che non riesce a trovare pace e stabilità.

Il volo che atterra all’aeroporto Toussaint Louverture augura a tutti quanti il benvenuto in “Ayiti cherie”, nella cara Haiti. Un’orchestrina locale griffata Western Union allieta le persone in coda per sbrigare le pratiche doganali. Nonostante questo il clima è tutt’altro che disteso, si respira un’aria pesante.
Recuperiamo il bagaglio e, sotto un sole cocente, passiamo sotto una lunga tettoia dove una folla di facchini si propongono di aiutarci a trasportare i nostri bagagli. Incontriamo subito Fidel, collaboratore di Caritas Italiana a Port-au-Prince, che ha il compito di portarci (o scortarci) fino a casa.

Lentamente, nel solito traffico del centro capitalino, attraversiamo strade devastate, qualcuna in costruzione, tutte quante discariche maleodoranti a cielo aperto frequentate da capre che cercano qualcosa da mangiare.

Ovunque, ai bordi, ritrovo le tendopoli che avevano riempito i miei occhi nel precedente viaggio. Sono ancora tantissime, però meno affollate. Anna e Davide la sera ci spiegano che in tanti alla fine hanno accettato di essere trasferiti nei nuovi campi al nord della città, come Corail Cesse-Lesse; altri ancora, passata la paura del terremoto, sono rientrati nelle loro case che seppur danneggiate sono state dichiarate abitabili. Ma ancora tanti, tanti davvero, vivono nei campi cresciuti come funghi subito dopo il terremoto.

Le elezioni sono alle porte. Si riuscirà a breve a ristabilire una situazione di parvente normalità, che potrebbe facilitare il lentissimo processo di ricostruzione?

Davide, 7 marzo 2011

Nato il 17 Marzo


Steso sul prato, a prendere il sole. Uno dei primi soli caldi dell'anno, che preannunciano l'esplosiva primavera partenopea. Il corteo era finito da poco, e io mi rilassavo insieme a tanti altri studenti medi sull'erba di Piazza Municipio, prima che i cantieri della metropolitana rendessero tutta la zona un enorme e grigio mostro sventrato. Fu in quella posizione, non certo la più adatta, che mi vidi arrivare addosso la carica della polizia, violentissima e immotivata, dato che i gruppi di "facinorosi" erano molto distanti da noi. E poi urla, lacrimogeni che ti tolgono il respiro, pianti e disperati tentativi di fuga in una piazza da cui nessuno poteva uscire per ordini superiori.
Era il 17 Marzo del 2001. Se penso che sono passati dieci anni mi corre un brivido lungo la schiena. A Napoli c'era il Global Forum, un incontro introduttivo per quello che sarebbe stato il G8 di Genova. E introduzione fu della sospensione dei diritti democratici che si vide per le strade genovesi, che culminò con l'assurdo omicidio di un giovane che ha segnato indelebilmente la mia generazione, come un punto di non ritorno, come risprofondare nelle agghiaccianti vicende vissute trent'anni prima dai nostri padri.

Seduto su una sediolino, a patire il freddo. Il freddo peggiore, quello delle ore immediatamente precedenti l'alba. All'aereoporto di Napoli Capodichino, in attesa di un aereo che mi avrebbe dovuto portare al Cairo per un viaggio di studio di un mese e mezzo, che poi sarebbero diventati tre. Era il 17 Marzo del 2006. Da allora non mi sono più fermato, Dakar, Damasco, Brighton, adesso Amman e dopo chissà. Il battesimo della mia vita nomade, cominciata cinque anni fa e di cui la fine ancora (fortunatamente) non si vede.

Il 17 Marzo del 2011 non è una giornata in cui mi accade qualcosa di particolare. é un giorno come altri di Servizio Civile, di lavoro con orfani, contatti con familiari di detenuti eccetera. Ma non posso fare a meno di notare quanto questo di 17 Marzo discenda da quegli altri due. Quella rabbia adolescenziale, molto ingenua ma anche molto spontanea che mi portava a protestare contro organismi responsabili delle profonde ingiustizie nella distribuzione delle risorse mondiali, è uno dei semi che mi ha spinto a cercare una esperienza come questa del servizio civile. Crescendo si impara a essere più riflessivi, a riconoscere le varie sfumature del bianco e del nero, ma certo non si perde, per chi l'ha avuto in adolescenza, quel senso di inadeguatezza a vedere tanti altri esseri umani soffrire a causa delle profonde sperequazioni economiche che caratterizzano il mondo.
Allo stesso tempo, il viaggio, il vivere in contesti diversi dal proprio non può non essere una componente essenziale di questa esperienza del servizio civile così come di tante altre che ho fatto e che farò. Si, idealmente i primi passi che mi hanno portato a questo 17 Marzo li ho mossi in altri 17 Marzo di altre epoche, lontane e vicine allo stesso momento...

PS. Il 17 Marzo quest'anno è significato anche la festa del 150° anniversario dell'Unità di Italia. Non mi è piaciuta la retorica, ma nonostante giro sempre di più e in Italia ci sto sempre di meno, cinque minuti li ho dedicati anche a un pensiero per quella che è comunque la mia prima casa. E le ho fatto gli auguri dentro di me, con buona pace di leghisti, neoborbonici e affini.

Three is meglio che one!!


In Giordania le giornate si sono allungate,
le file alla cassa del supermercato si sono allungate,
i capelli si sono allungati,
la barba di Yuri pure,
anche i nostri nomi si sono allungati...
Io sono Paola Gabriele Tommaso Pazienti,
Yuri è Yuri Corrado Amedeo Perrotti.

E pensare che non lo sapevo neanche di avere tre nomi! L'abbiamo scoperto compilando alcune scartoffie: si scrive il proprio nome, poi quello del babbo e poi quello del nonno!!
Ok, va bene, mi piace avere tre nomi: three is meglio che one!!! ....ma per le donne non sarebbe stato meglio prendere il nome della madre e della nonna???
Io, per quanto mi riguarda, preferisco Paola MariaTeresa Lina Pazienti...così per evitare equivoci! .....Paola Gabriele Tommaso...è un uomo o una donna? Mah!

domenica 20 marzo 2011

Terra rossa fra le mani

Eccoci qui! Nessun silenzio stampa, solo che cerchiamo di inserirci nella cultura kenyota, e anche l’african time è parte di essa… Scherzi a parte, si torna tardi dal lavoro, un giorno manca l’acqua, un giorno manca la luce, un giorno entrambi. Un giorno si insegue uno scarafaggio, un giorno un topo, un giorno entrambi. E arrivano le 11 di sera e si va a letto.

Per giorni e giorni ho pensato se fosse opportuno o meno scrivere qualcosa rispetto ad una triste esperienza che abbiamo avuto:la morte della bimba di Lucy, una signora che lavora con noi in comunità. Poco meno di due anni, polmonite e meningite fulminante.

 Vi chiederete perché ve ne voglia parlare, e lo spiego subito. È stata prima di tutto drammaticalmente coinvolgente e rende evidente il senso di comunità di questa nazione. Il secondo motivo è che un giorno, in una riunione di gruppo con i ragazzi è stato chiesto quale fosse stato il migliore momento della settimana, e loro hanno risposto “il funerale”, e questo mi ha fatto riflettere.

Ed è del funerale che ho deciso di parlarvi. Perché qui è vissuto come una festa, come un momento di raccolta delle persone care, come un evento. È durato 6 ore. Ora inizio a raccontare e capirete.

Prima di tutto ci siamo trovati alla camera mortuaria dell’università di Nairobi, per dare l’ultimo saluto alla salma a bara aperta. Il momento è stato immortalato dai fotografi, che si aggiravano tra la folla scattando foto a più non posso. Ricordatevi questo particolare.

La bara è stata chiusa, e un corteo di macchine, ognuna con un cordoncino rosso attaccato al finestrino,  qualcuno attaccato al furgone che filmava, ha viaggiato per due ore nell’entroterra kenyota, fino ad arrivare alla casa della famiglia di Lucy. Qui è stato allestito un tendone, con sedie, panchine, poltrone, divani: ogni vicino di casa ha portato quello che aveva per aiutare la famiglia a far accomodare tutti.

Prima della messa, il momento foto. Al microfono hanno chiamato prima i parenti più stretti, poi le suore, poi i colleghi, poi gli amici… e con ognuno è stata fatta la foto di rito, con le persone strette vicine alla mamma, al papà e ai fratellini  della bimba.  È arrivato poi il momento delle dediche: chi  dedicava una canzone, chi una preghiera, chi un discorso di ricordo. E poi è iniziata la messa, due ore di canti, preghiere, discorsi…

Alla fine della funzione, il corteo si è mosso in mezzo alle colline terrose , tra alberi e arbusti la gente si è riversata giù per il pendio fino ad arrivare al luogo prescelto per la sepoltura. Un punto da cui si potesse osservare la valle,  e qui è stato riversato del cemento bianco per formare la tomba. Mentre il prete dava l’ultima benedizione, la bara è stata calata lentamente dagli amici della famiglia.

E qui parte il punto più emozionante e più significativo della cerimonia: ad uno ad uno, tutti i presenti, hanno preso un pugno di terra per coprire la bara, alcuni posavano i fiori, le donne ad una ad una prendevano la pala per riempire la tomba, dandosi il cambio.
La folla è poi tornata nella casa, dove è stato offerto il pranzo.

Quando ho guardato la mia mano e ho visto la terra rossa sciolta sul mio palmo, mi sono sentita parte della comunità, che si è stretta immediatamente intorno alla famiglia, che in modo generoso ha offerto i propri soldi e il proprio aiuto per organizzare la cerimonia. E anche i ragazzi, quando hanno detto che era stato il giorno migliore della settimana, intendevano dire proprio questo: eravamo tutti insieme, tutti uniti e tutti vicini a Lucy. Non abbiamo semplicemente partecipato alla funzione, ma abbiamo fatto il possibile per aiutare la famiglia in un momento difficile e per dare il migliore saluto alla bimba. E in questo non siamo stati soli, ma stretti e inclusi nella comunità. Una comunità da cui noi come wazungu e i ragazzi come ex carcerati  a volte ci sentiamo additati come "diversi", ma in un momento come questo, le differenze si lasciano da parte, le persone si incontrano, si conoscono e si aiutano a vicenda.

(Unico elemento stonato: le fotografie alla camera mortuaria sono state vendute a fine cerimonia fuori dalla casa. 15 centesimi l’una. Foto della famiglia e degli amici che piangevano. Io e Emanuele, un po’ perplessi, abbiamo pensato molto rispetto a questo aspetto. Forse la tecnologia è arrivata fin qui senza portarsi dietro le riflessioni sulla privacy, sull’assenso alle foto, sul pudore di ritrarre alcune situazioni. Oppure più semplicemente non viene vissuta come un invasione, quando anche un momento triste si trasforma in una festa, la foto ricordo diventa importante, anche se questo comporta vedere le lacrime di una persona cara.)

Siamo in guerra

Una due giorni intensa qui ad Amman.
Un lungo meeting ieri, un pò di relax girovagando oggi.
Quando arrivo a casa sarà qualche ora che non vedo le notizie.
Ci risiamo.
Quanto ci hanno messo poco a decidere questa volta.
é solo l'ennesima rincorsa di interessi occidentali travestita da guerra umanitaria?
Era pensabile di lasciare Gheddafi libero di massacrare il suo popolo?
Sarà un altro Iraq?
Il milan ha perso.
La "primavera araba" sta finendo nel peggiore dei modi?
C'è qualcuno della stampa che prova a rispondere a queste domande con onestà senza servire un qualche padrone?
é avanzata la pasta di oggi, così non devo neanche cucinare.
Sarà sicura l'Italia a un tiro di schioppo dal nostro alleato fino all'altroieri?
Il comando militare a Napoli. Wow.
Ci risiamo.
Riusciremo mai a espellere la guerra dalla storia dell'umanità?
Non adesso. Ripassare in un futuro indefinito.
La prima volta Ruby aveva 16 anni.
Tra poco rivedo casa.
Ci risiamo.
Not in my name.
Ma adesso è ora di dormire.
Chissà se lì si dorme.
Ne dubito, i missili fanno parecchio rumore.

venerdì 18 marzo 2011

A lezione...

Quaderno aperto, prendiamo appunti durante la lezione di rumeno … sapunuri, ochiuri, vînturi … questa lingua mi ricorda qualcosa, eppure io conosco solo l’inglese …
Poi, l’illuminazione: il tuscolano!!!
Non vedo l’ora di arrivare allo studio dei verbi!!!


giovedì 17 marzo 2011

Dal Mondo...

da http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/17/news/oltre_il_dolore_nell_inferno_di_minamisoma_ma_adesso_dobbiamo_ricominciare-13705879/

"La colonna dei fuggitivi incrocia quella dei soccorritori inviati da Tokyo, ma non si ferma. "Portateci via da qui", gridano i maschi e la loro richiesta suona come un atto di accusa contro la misteriosa lentezza degli aiuti. Gli evacuati del Nordest temono che la neve e la pioggia riversino su di loro le particelle radioattive emesse da Fukushima e chiedono di essere messi in salvo in regioni sicure e lontane. Pretendono che i militari distribuiscano pillole di iodio e che misurino la radioattività delle persone. Montano una rabbia e una protesta inattese. Il dolore, le privazioni e il terrore stanno facendo perdere la testa a chi confidava di poter superare lo shock. Basta una folata di vento che innesca un crollo, o l'ennesima scossa di terremoto, perché gli individui snervati sobbalzino e cedano ai gemiti. E' difficile da credere, ma nel Paese dotato di 55 centrali nucleari e centinaia di impianti petrolchimici, nella nazione che ha costruito il proprio successo sull'avanguardia dell'energia e della tecnologia, i soccorsi ai sopravvissuti dell'11 marzo naufragano per mancanza di combustibile e mezzi capaci di avanzare tra gli eccessivi detriti del progresso. E nel Giappone che trabocca di merce, ai profughi dell'Honshu dopo cinque giorni manca un pezzo di pane e una maglietta asciutta."

"Affrontare contemporaneamente un terremoto, uno tsunami, un'emergenza nucleare, decine di migliaia di morti, 600 mila sfollati e un'intera regione rasa al suolo, è una prova ai limiti delle possibilità per qualsiasi nazione"

" Si dice che a Sendai siano stati salvati 25 mila abitanti e che migliaia, residenti nei quartieri verso il mare, siano stati sparsi negli ospedali di tutto il Giappone. Gli evacuati però dubitano ed elencano a memoria i nomi di decine di villaggi della prefettura ancora inaccessibili e isolati, dove nessuno risponde."

lunedì 14 marzo 2011

mercoledì 9 marzo 2011

Una mimosa per traverso





“… Donna,
non sei soltanto l'opera di Dio,
ma anche degli uomini,
che sempre ti fanno bella con i cuori
...”





e talvolta con le botte...





Chisinau- Italia- Mondo , 8 Marzo 2011



Un Inno alla donna, alla madre e alla figlia..




Non c'era uomo, oggi in Chsinau, che non ergesse un fiore fra le mani : un pensiero per l'amata consorte, un offerta al cuore.




“Un giorno di tregua”! Penso io.. ( e domani, un'altra volta in trincea)




Perché dati alla mano: almeno due di questi uomini armati di tulipani dovrebbero fare i conti con la propria coscienza...




E come ogni accadimento avverso, “tutto il mondo è paese”, perché “i panni sporchi” se li lavano casa un po' tutti ( perdonate l'apoteosi di proverbi).




Lo so che oggi avrei dovuto scrivere il report (in parte l'ho fatto), ma l'impaziente voglia di cercare notizie a riguardo mi ha fatto perdere la cognizione del tempo; e .. cerca cerca.. e cerca cerca.. non ho poi trovato così tanto..




Le ho provate proprio tutte ( e non voglio citare una famosa pubblicità), ho anche creduto potessere esistere una qualche associazione filo- femminista moldava dalla quale poter iniziare la mia ricerca, ma niente, solo qualche rimando a siti pornografici...




Non ho trovato articoli sul genere, ma ho scoperto che il comune ha regalato una rosa ad ogni donna della giunta … (e il debito pubblico?)




Forse allora, se non si parla del problema, il problema non sussiste??



“Nel tuo corpo ti porti,
come nessun'altro,
il segreto della vita!
Nella tua storia
la macchia dell'indifferenza,
della liscriminazione, dell'oppressione...”

martedì 8 marzo 2011



Carnevale in Cochabamba..tutto ebbe inizio secondo la mitologia quando:





" Pachacamac dio del cielo, si unì a Pachamama e da questa unione nacquero due gemelli, un maschio e una femmina. Come in altri miti andini, il padre morì oppure, secondo altre leggende, sparì in mare o rimase prigioniero di un incantesimo in un'isola del litorale.
Pachamama rimase vedova e sola con i suoi figli. Sulla Terra regnava l'oscurità. In lontananza videro una luce che seguirono salendo montagne, attraversando lagune e combattendo contro mostri.
Infine arrivarono in una grotta conosciuta come Waconpahuin, abitata da un uomo chiamato Wakon. Questi aveva sul fuoco una patata e una pentola di pietra. Chiese ai due figli di Pachamama di andare a prendere l'acqua. I due tardarono e Wakon tentò di sedurre Pachamama. Vistosi rifiutato la uccise, divorò il suo corpo e mise i resti in una pentola.
I due gemelli tornarono e chiesero della madre. Wakon non raccontò nulla e disse loro che sarebbe tornata a momenti, ma i giorni passavano e la madre non tornava.
Huaychau, uccello che annunciava l'alba, ebbe compassione dei due gemelli e raccontò cosa successe alla loro madre mettendoli in guardia del pericolo che correvano rimanendo con Wakon. I bambini legarono i capelli di Wakon, che nel frattempo dormiva, ad una grossa pietra e scapparono in fretta e furia.
Incontrarono una volpe, Añas, che dopo aver chiesto loro perché scappavano e dove stessero andando, li nascose nella sua tana. Nel frattempo Wakon si liberò e si mise in cerca dei gemelli. Incontrò dapprima vari animali a cui chiese se avevano visto due gemelli, ma nessuno seppe aiutarlo. Incontrò, infine, Añas. Questa gli disse che i bambini erano in cima ad una montagna e che avrebbe potuto, una volta in cima, imitare la voce della madre in modo che i bambini uscissero allo scoperto.
Wakon si mise a correre affannosamente verso la cima e non si accorse della trappola che nel frattempo l'astuta volpe Añas gli aveva teso. Wakon cadde da un burrone e, morendo, causò un violento terremoto.
I gemelli rimasero con Añas che gli alimentava con il suo sangue. Nauseati chiesero se poteva andare a raccogliere qualche patata. Trovarono un'oca (Oxalis Tuberosa, un tubero simile alla patata) assomigliante ad una bambola. Giocarono con essa, ma si ruppe un pezzo. I bambini smisero di giocare e si addormentarono.
Nel sonno la femmina sognò di lanciare il suo cappello in aria e che questo rimanesse sospeso senza ricadere. La stessa cosa accadeva, nel sogno, ai suoi vestiti. Una volta sveglia raccontò il sogno al fratello. Mentre i bambini si domandavano il significato del sogno, videro in cielo una corda lunghissima. Incuriositi si arrampicarono e salirono.
Alla cima della corda videro il loro padre, Pachacamac, impietosito per le loro disavventure. Riuniti al loro padre, vennero trasformati nel
Sole (il maschio) e nella Luna (la femmina).
Per quello che riguarda Pachamama, essa rimase sempre in basso, assumendo la forma di un imponente nevaio chiamato, anche oggi, La Viuda (la vedova).






da allora la Pachamama è rimasta un personaggio importante nella cultura soprattutto Aymara, tantè che viene considerata come la madre che ci protegge e ci porta il cibo per vivere; secondo gli indigeni quindi, se non la si ringrazia l'anno sarà segnato dalla sfortuna per i raccolti per inondazioni o siccità. Il ringraziamento non avviene solo tra i contadini ma anzi in città, case e centri commerciali affinchè la Pachamama possa portar loro il meglio per il nuovo anno.


Entrando più nel rito in sè -la Ch'alla- si adorna il luogo con palloncini e stelle filanti, si mette nel mezzo della sala del carbone ardente e legno(Koa) sopra il quale viene posto il feto di lama, come sacrificio alla Madreterra per poi aggiungerci fiori, frutta e tutto ciò che più si desidera durante l'anno quindi anche soldi o dolci; si inizia il tutto rovesciando prima un pochino di Chicha( bevanda leggermente alcolica data dalla fermentazione non distillata del mais o di altri cereali) e subito dopo di birra ai quattro angoli attorno alla Koa prima in senso orario e poi in senso antiorario ciò che avanzi del bicchiere o lo bevi o lo getti sopra "la mesa" preparata per la MadreTerra.


Una volta che tutti hanno terminato gli si da fuoco, la cosa più importante è che il fumo prodotto entri direttamente nella casa o nell'ambiente di lavoro perchè è il fumo stesso a purificare e portare positività per il nuovo anno!

e noi avendo Ch'allato..bè non ci si può che prospettare un anno a dir poco spettacolare!

Mentre...Anna da Chisinau

Prima puntata di Mentre in onda dal lunedi al venerdi dalle 15 alle 16 su TV2000, visibile sul digitale terrestre e sul canale 801 di sky.



Ricordo ai lettori del blog che giovedi 10 Martina sarà ospite della trasmissione in diretta dal Nicaragua e venerdi 11 Emanuele da Nairobi.

sabato 5 marzo 2011

Dall'altro lato della barricata


In principio era il Bip. Un lancinante, irritante bip. Poi c'era il secondo. E poi il terzo e così via. Ma non era mai prima del ventesimo bip che realizzavo quanto stava accadendo. Era la sveglia che gracchiava. Andava da sè che le mie suppliche della sera precedente non si erano avverate. La Juventus non mi aveva chiamato per giocare al fianco di Del Piero, il Vesuvio non aveva seppellito la mia scuola con una eruzione chirurgica, Masaniello non era tornato in vita per guidare una rivolta che mi avrebbe reso impossibile attraversare la città e raggiungere la mia classe.

Subito dopo cominciava l'affannato rituale descritto magistralmente nel primo Fantozzi di Caffelatte con pettinata incorporata e autobus da prendere al volo. Alla fine delle mie tribolazioni c'era però un premio ad attendermi. Il simil-sonnellino della prima ora da consumarsi rigorosamente all'ultimo banco (salvo improvvide interrogazioni).

Eh già perchè, scusate la digressione, ma se qualcuno non lo sapesse, il mondo si divide in due categorie. Quelli dei primi banchi, e quelli degli ultimi. Non ho niente contro di voi che starete leggendo e vi ricorderete di quando eravate seduti a 20 cm dalla Prof. adorata, delle vostre mani alzate sempre pronte a rispondere, di tutti i commenti interessati che facevate alle lezioni. Alla fine lo so che siete come tutti quanti gli altri e non meritate disciminazioni. é solo che senza di voi la scuola sarebbe un posto migliore. L'importante è che ne siate coscienti.

Tornando a noi, tutto quanto descritto sopra rispetto alle mie traumatiche sveglie dei tempi in cui ero un alunno non è cambiato di una virgola adesso che tra le varie cose del mio Servizio Civile lavoro come insegnante di inglese affiancandomi alle professoresse di ruolo. Unica piccola differenza, ahimè alla prima ora non posso schiacciare il pisolino. Ma è una esperienza davvero bellissima, credo che dovrebbe essere un diritto inalienabile di ogni alunno avere da grande una esperienza come professore...

Ogni ora accade qualcosa che mi riporta alla mente gli irripetibili anni passati in classe. L'altro giorno mi è capitato per caso di guardare sotto un banco, e che tuffo al cuore! avevo dimenticato che anche ai miei tempi c'era una piccola mensoletta con gomme appiccicate, fogli stracciati, la merenda per la pausa e quant'altro...

E i lanci di oggetti mentre la prof. è di spalle? Modestamente posso vantare più di un bernoccolo sulla testa di miei compagni di classe grazie alla mia precisione... e le battute fatte durante le interrogazioni che fanno infuriare l'insegnante? e le risse estemporanee mentre la prof scrive alla lavagna ed è girata di spalle? e la follia nei due minuti tra la fine di una lezione e l'inizio dell'altra? e le risate incontrollabili, che proprio perchè non puoi ridere, ridi sempre di più in faccia alla prof.?

Molte volte mi verrebbe voglia di sedermi con loro anche solo per cinque minuti e unirmi ai loro divertimenti. Ma non si può, a ognuno il suo tempo, e torno nel mio ruolo dettato dall'età che ho oggi. Quindi d'ora in poi chiamatemi, per usare un termine arabo, "O'Prufessore"

venerdì 4 marzo 2011

Casa...

Oggi continuo a pensare a tutto quello che ho lasciato a casa.

Alla mia famiglia, a chi sta bene e a chi in questo momento soffre, a tutto l’affetto che mi ha sempre dimostrato e alla sua capacità di affrontare momenti felici e momenti difficili.

Ai miei amici e le persone a cui voglio bene. Chissà come procederanno i piccoli passi per l’acquisto di una casa, chissà se quest’anno scopriranno qualche altro nuovo gioco in scatola, chissà come coloreranno il lettino del loro bimbo! Mi chiedo come andranno i viaggi per le persone in partenza, chi per qualche settimana a Tokyo, chi per qualche anno a Philadelphia, o Harvard, o…. Mi chiedo se i film al cineforum saranno belli, o se calerà l’abbiocco! E soprattutto: quanti uomini in divisa vedranno quest’anno???

E la squadra? I riti scaramantici in panchina sortiranno i loro effetti?!? Quali insetti troveranno nello spogliatoio? E il Seregno 1? Ah, giusto per informazione, qui al gioco “principi e principesse” hanno vinto le donne!!!

Penso ai miei colleghi e ai miei alunni: mi mancano le gag in aula professori, le gare in macchina da una scuola all’altra, i percorsi insieme per raggiungere le classi, la pizzetta nell’ora buca prima che suoni l’intervallo che almeno non c’è la ressa, le forbici ritirate, i cellulari ritirati, i bigliettini ritirati, il tappeto rosso, i fiori.

Varrà la pena aver lasciato tutto questo?

Poi penso all’appartamento sociale, dove sono ospitate 6 ragazze orfane. Quali legami affettivi hanno loro? C’è qualcuno su cui possano fare affidamento e che dia loro affetto? Hanno qualche momento di svago, in cui possano divertirsi e insieme scoprire nuove abilità? Quando mi hanno chiesto di vedere le foto dei miei familiari e dei miei amici, mi sono sentita in imbarazzo: cosa hanno loro di tutto ciò, di tutto quello che a me di casa manca?

Sì, allora forse vale la pena essere qui.

giovedì 3 marzo 2011

-7+1+2=2000


Grandi novità dal mondoSCEcaritas!

Lunedì 7 marzo, in diretta da Chisinau via skype, Anna e Elisa saranno le prime ospiti della trasmissione MENTRE , visibile sul canale TV 2000 e in streaming sul web.

Dalle 15 alle 16 (ora italiana), daranno il via alla settimana dedicata alle testimonianze dei giovani che hanno deciso di dedicare un anno della propria vita impegnandosi in un progetto di servizio civile all'estero.

Giovedì 10 (stessa ora) passeranno il testimone ai 4 nica che, fuso permettendo (-7), disegneranno uno spaccato di Nueva Vida-Managua.

Venerdì 11, Ema e Simona, ospiti nella dalla sede del “New People Media Center” dei Missionari Comboniani a Nairobi, chiuderanno la settimana in bellezza.

Salutiamo anche Davide che, insieme a Matteo, ex volontario SCE in Chapas, sono in partenza per Haiti. Davide nelle prossime 2 settimane monitorerà i progetti sostenuti da Caritas Ambrosiana e valuterà la fattibilità degli interventi futuri.

mercoledì 2 marzo 2011

Primavera sotto zero..


Se per il resto del mondo la venuta della Primavera è datata 21 Marzo..

La Moldova gioca in anticipo, gareggiando sola dal primo del mese
E non importa che le temperature siano ancora rigide, non importa che esista una cosa chiamata equinozio..

Oggi è un giorno di festa qui a Chisinau!


Le strade si sono colorate di bianco e di rosso, i colori dei Mărţişor (piccolo Marzo): due semplici nastri che uniti diventano un "monile". Si regalano a tutte le persone di cui si ha stima, per le quali si prova affetto, appuntandole sui loro giubotti.


L'ultimo giorno del mese, ognuno appenderderà i suoi Mărţişor ad un albero da frutto esprimendo un desiderio...



" C’era una volta... un momento in cui il Sole, incarnato in un giovane uomo, aveva l'abitudine di scendere sulla terra per ballare la hora nei villaggi. Un giorno, un drago invidioso, lo rapì nascondendolo nei sotteranei del suo castello.


Allora, gli uccelli smisero di cantare ed i bambini di sorridere.


Nessuno aveva il coraggio di affrontare il drago, ma un giorno, un giovane coraggioso decise di cercare sole. Appena si sparse la notizia in molti scelsero di seguirlo nel viaggio alla ricerca di Sole.




Il viaggio durò tre stagioni: Estate, Autunno ed Inverno.

Nel corso dell'ultimo giorno d'inverno
, il giovane riuscì finalmente a trovare Sole e dopo una lunga battaglia contro il drago, lo liberò.




La natura riprese allora il suo corso e le persone ricominciarono a sorridere.




L'eroe, che aveva salvato Sole, non riuscì però a rivedere la primavera: il sangue caldo delle sue ferite cadeva sulla neve che ormai si stava scogliendo, nello stesso momento fiori bianchi sorgevano dal terreno (bucaneve).




Quando l'ultima goccia di sangue cadde sull'immacolata neve, il giovane morì, felice di aver dato la vita per uno scopo tanto nobile..."




FELICE PRIMAVERA!