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martedì 18 ottobre 2011

In una stanza sconosciuta



C’è sempre un momento in cui un
viaggio comincia davvero. A volte capita quando si esce di casa, ma altre volte
è molto lontano da lì.

Tre storie, tre racconti, tre momenti diversi della vita della stessa persona. L’amicizia, l’amore, la morte. Le tappe fondamentali della crescita di un uomo vissute e raccontate attraverso il viaggio.
In “In una stanza sconosciuta” il viaggio non è strumento di conoscenza dell’altro che si visita, che si percorre, che si incontra, ma è soprattutto conoscenza di sé proprio grazie all’incontro con altri esseri umani. Le descrizioni dei paesaggi, delle culture e delle società che il protagonista incontra percorrendo diversi paesi (Zimbabwe, Inghilterra, Svizzera, India) sono del tutto assenti: uno sfondo sfuocato sul quale invece si tratteggia con cura e precisione la descrizione dei rapporti e delle relazioni. Molto dell’esperienza che il protagonista fa nel corso dei suoi tre viaggi è conseguenza diretta della relazione che egli instaura con i compagni di viaggio che per caso o per scelta lo accompagnano. La ricchezza del libro sta proprio nell’analisi dei rapporti umani, nello studio delle reazioni del protagonista di fronte ai personaggi che gli ruotano attorno. È infatti il confronto con i suoi compagni di viaggio che gli permette di studiarsi, di interrogarsi e di conoscersi.
Raccontando tre viaggi diversi in tre momenti cronologicamente diversi si narra l’evoluzione e la crescita sofferta di un giovane ragazzo, che viaggiando si fa uomo.
Il viaggio detiene, nel bene e nel male, un potere catartico al quale il protagonista non rinuncia neppure quando è diventato ormai adulto. Gli permette di situarsi in uno spazio diverso da quello della quotidianità, uno spazio nel quale l’intensità dei momenti che vive gli garantisce la lucidità necessaria per analizzarsi.
Allo sconosciuto incontrato su un treno e all’ignoto che accoglie entrando nelle caotiche strade di una città africana è lasciato il compito di stimolare e di intensificare l’esistenza. Gli incontri che il protagonista fa durante i suoi tre viaggi spesso si rivelano più significativi del paese che sta
attraversando.
Non ci troviamo, infatti, di fronte a un racconto di viaggio, alla descrizione di un universo altro dal nostro. Bensì ci troviamo di fronte all’evoluzione di uno stesso uomo che, prima “seguace”, poi “amante” e infine “guardiano”, definisce se stesso e si confronta con i suoi limiti, i suoi fallimenti e le sue delusioni. Il passaggio continuo dalla prima alla terza persona si rivela efficace per rendere il lettore partecipe del dislocamento vissuto dal protagonista. Un dislocamento che non è appunto solo geografico, ma soprattutto interiore. Come se, nei momenti di disequilibrio e di perdita di punti di riferimento, al viaggio e a tutto ciò che il viaggio racchiude in sé venisse affidato il compito di ristabilire un ordine. Il protagonista sente l’esigenza di partire e di rimettersi sulla strada come un imperativo che, per quanto doloroso e terrorizzante, rappresenta l’unico modo di confrontarsi a fondo con se stesso grazie all’intensità e all’energia regalate dall’esperienza del viaggio.


A me non piace lasciare la strada, accentua la sensazione di vulnerabilità. induce una specie di ansia primoridiale. Ma questo è anche uno degli elementi più irresistibili di un viaggio, il senso di terrore che soggiace a tutto, che rende più intense e acute le sensazioni, il mondo è carico di un'energia che nella vita normale non ha.

Olivia

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giovedì 15 settembre 2011

Il passato davanti a sé


Ognuno dei libri che ho letto in questo ultimo periodo mi ha aiutata nella comprensione dell’universo che mi circonda e come per magia le loro parole hanno acquistato un senso particolare nella tela di esperienze che sto tessendo.
Uno dei primi libri che ho letto una volta arrivata Kindu è stato “Il passato davanti a sé” di Gilbert Gatore, regalo di un’amica prima della tanto sperata partenza. Il primo paese africano in cui ho messo piede non è stato infatti la Repubblica Democratica del Congo, bensì il Ruanda anche se per un veloce passaggio. Ho avuto l’occasione di attraversarlo in auto e di poter osservare fugacemente questo piccolo paese ornato da mille colline. E così questo libro, che racconta un pezzo di storia del Ruanda, mi ha accompagnata in questo primo assaggio di Africa.
Il passato davanti a sé” è un libro in cui il confine tra spazio onirico e spazio reale è incerto. Ma il contesto di riferimento del libro che ne è causa, ragione e fine in se stessa è un evento reale. Un evento umano, tragicamente e desolatamente umano: il genocidio della popolazione di etnia tutsi che ha avuto luogo in Ruanda nel 1994. È il racconto del tentativo di convivere con una tragedia di enormi proporzioni. Metaforicamente è il tentativo di convivere con la tragedia dell’essere creatura umana. Della convivenza di male e bene, dello sbiadito e confuso limite che talvolta impedisce all’uomo di oltrepassare ciò che è moralmente accettabile. Di momenti in cui il confine scompare e la follia diviene collettiva ce ne sono stati, ce ne sono e, malgrado tutto, sempre ce ne saranno nella storia dell’uomo. Nel 1994 in Ruanda la follia ha contagiato la stragrande maggioranza della popolazione e l’istinto di uccidere, di eliminare il diverso, l’altro, ha preso il sopravvento sulla capacità di giudizio. Di passaggio a Kigali mi è capitato di visitare il museo del genocidio. In una stanza esagonale sei nicchie accolgono, appese in file ordinate, le foto di alcune delle persone che sono state vittime di questa follia. La cifra esatta è incalcolabile, ma secondo stime ufficiali si aggirerebbe attorno agli 800.000 – 1.000.000. Ad un prete, testimone del massacro che ha avuto come teatro il Ruanda, è stato chiesto se la sua fede in Dio fosse stata minata dall’aver assistito ad un genocidio. “No, la mia fede in Dio è intatta. È la mia fede negli esseri umani che è andata distrutta per sempre”. Ed è forse la stessa impossibilità di recuperare la fiducia nell’essere umano che spinge Gatore a costruire questo romanzo a due voci: la voce del genocidario e la voce della sopravvissuta. Che spinge Gatore ad indagare i più reconditi recessi dell’animo umano, mostrandoci la tragedia di chi è assassino, di chi sa che non può cercare perdono e la tragedia di chi, sopravvissuto, non trova in sé la forza di perdonare e di andare avanti. Tanto più che il mondo che lo circonda è abitato da individui che hanno scelto di ignorare le tragedie dell’umanità, di quella più vicina a loro come di quella più distante.

L’oscenità del mondo non è nella sfilata dell’orrore e dell’ingiustizia, bensì nell’atteggiamento di chi non sa dire altro che “è tremendo, certo, ma…”, di chi non sa fare altro che allusioni tra un caffè e una battuta, altro che compiere il rito dell’indignazione per poi passare ad altro: alla vita normale.

Il lettore si ritrova così a partecipare in prima persona a questa indagine e, spinto a prendere parte per una delle due voci che si rincorrono nel libro, si ritrae impaurito quando ai sentimenti che prova per l’una e l’altra viene dato un volto. Quando all’improvviso ne viene svelato l’orrore. Gatore conduce con grande maestria la sua riflessione sulla tragedia ruandese su due piani paralleli, il soggettivo e l’oggettivo, spingendo il lettore a riflettere in entrambe le direzioni.


Olivia

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sabato 6 agosto 2011

Un libro per Kindu



Cari lettori del nostro blog,

non so esattamente quanti siate e con quale frequenza ci leggiate, ma Sergio dice che abbiamo un nutrito gruppo di affezionati. Con questo post vorrei inaugurare un appuntamento fisso, una sorta di rubrica. Ma cominciamo dall’inizio…
Di me probabilmente sapete poco, a meno che non siate tra la schiera dei fortunati o sfortunati (dipende dai punti di vista…) che mi conoscono! Sapete poco perché fino ad oggi ho scritto poco. E più importante, sapete poco del luogo in cui mi trovo a svolgere il mio anno di Servizio Civile: Kindu, Repubblica Democratica del Congo. Allora forse è meglio cominciare da ancora prima…

A otto anni dalla fine della guerra, la Repubblica Democratica del Congo si trova ancora in una situazione di grave crisi politica, economica e sociale. La maggior parte della popolazione vive di espedienti nell’impossibilità di far affidamento sui servizi che uno Stato dovrebbe garantire ai suoi cittadini. A tutt’oggi resta in vigore l’articolo 15 della Costituzione (che in realtà ne conta solo 14) ironicamente aggiunto dai congolesi stessi: “Débrouillez-vous!”, “Arrangiatevi!”.
Le conseguenze del regime cleptocratico di Mobuto e della guerra di spoliazione, che ha visto coinvolti i confinanti paesi africani e le potenze occidentali per il tramite delle multinazionali, sono ancora evidenti. La popolazione congolese ha subito due volte gli effetti del saccheggio vorace della propria terra: a livello materiale perdendo ogni diritto sulle proprie ricchezze che avrebbero potuto renderlo ampiamente autosufficiente e che avrebbero potuto garantirgli uno standard di vita dignitoso. A livello psicologico e morale abbattendo la frontiera tra lecito e illecito, banalizzando in un reiterarsi quotidiano l’ingiustizia e la corruzione e spegnendo lentamente le coscienze con l’arma della repressione.
Nelle regioni orientali del Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri perdurano gli scontri tra esercito regolare e gruppi ribelli facenti capo agli interessi di potenze interne, esterne e sovranazionali, che determinano una permanente situazione di instabilità politica. La popolazione locale soffre le devastanti conseguenze e neppure la missione ONU per il mantenimento della pace nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) riesce a tener fede al suo mandato di protezione dei civili. La violenza carnale continua ad essere usata in maniera intimidatoria nei confronti della popolazione come un’arma di lotta sia dai ribelli che dall’esercito congolese. Si stima che il numero delle vittime di questo genere di abusi durante lo scorso anno sia notevolmente superiore agli 11mila ufficializzati dalle Nazioni Unite.
A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, che sono previste per il novembre di quest’anno, le associazioni in difesa dei diritti umani temono il ricorso eccessivo alla violenza, ad arresti e detenzioni arbitrarie e a sparizioni forzate. Gli arresti arbitrari di giornalisti e dirigenti dell’opposizione, la repressione delle manifestazioni politiche pacifiche e le minacce di morte contro i difensori dei diritti umani che sono state segnalate a partire da gennaio 2011 sollevano numerosi dubbi sulla possibilità di un democratico svolgimento delle elezioni. Il tentativo di attentato alla residenza del Presidente Kabila a Kinshasa, avvenuto nel mese di febbraio 2011, ha sicuramente alimentato il clima di repressione e controllo sulla popolazione e sui gruppi di opposizione politica.
Per quel che riguarda la regione del Maniema, la situazione che si percepisce a Kindu è di relativa tranquillità. Le conseguenze degli otto anni di guerra e l’inefficienza dello Stato sono evidenti a livello materiale nella carenza e nell’abbandono delle infrastrutture. Il livello di povertà della popolazione è elevato ma, grazie alla rigogliosa natura che fornisce sufficiente quantità di manioca (alimento base della dieta) e alla relativa situazione di sicurezza, la miseria non esplode evidente come nelle zone più urbanizzate. Ciò nonostante le difficoltà economiche e l’alto tasso di disoccupazione ostacolano la possibilità di accesso alle strutture sanitarie e scolastiche.


Dopo questa brevissima panoramica su un paese che è otto volte l’Italia e per la comprensione del quale si dovrebbero produrre pagine su pagine, vi riporto a un livello “micro”, quello di Kindu. Prima della partenza e in occasione dei due rientri che ho effettuato in Italia sono stata assalita dal panico per due ragioni: la prima molto banalmente e molto umanamente è quella del cibo. Per cui con la mia socia abbiamo infilato in valigia tutto ciò che ci è mancato durante i mesi a Kindu, dedicando tempo ed energia a impacchettare, sigillare e poi spacchettare e immagazzinare grandi quantità di cibo irreperibile a Kindu. La seconda, in un qual modo collegata alla prima perché sempre di alimenti si tratta, anche se di alimenti per la fantasia, è quella dei libri. Mi ricordo in fase di selezione quando chiesi ingenuamente: “Ci sono biblioteche e librerie a Kindu, vero?”. Potete immaginare la risposta…. Ovviamente a Kindu non ci sono né librerie, né biblioteche e così oltre al cibo nelle mie valige hanno trovato spazio anche molti libri. Ho già affrontato la realtà e so che prima o poi rimarrò a corto di letture, ma so anche che potrò contare sulla solidarietà degli altri espatriati con i quali si è avviato un pratico sistema di scambio di letture.
E a questo punto posso riprendere il discorso interrotto all’inizio del post: l’appuntamento fisso…. Da Kindu mi impegno a inviare recensioni sui libri che ho letto, leggo e leggerò durante questo periodo di Servizio Civile. Per il momento ognuno dei libri che ho letto, a prescindere dal contenuto e dalla tipologia, si è rivelato utile alla comprensione del mondo che mi circonda, mi ha fornito spunti di riflessione e mi ha aiutato a comporre i pezzi di una realtà altra da me. Senza le mie letture tutto ciò che vedo, sento, tutti i rumori, gli odori, i colori e i volti che mi circondano avrebbero perso parte del loro senso. E naturalmente mi chiedo: “Se non ci fosse stata letteratura, narrazione, fantasia nella mia vita, nella mia crescita, nella mia educazione, come sarei adesso?”. Certo la tradizione della narrazione orale è forte e vivissima qua a Kindu, ma quel luogo di riflessione, quello spazio speciale e riservato che si crea quando ci si immerge nella lettura e che stimola potentemente l’individuale capacità di analisi soffre se privato del supporto cartaceo. E così, metà per gioco e metà sul serio, lancio una sfida ai lettori del blog…. Per ogni libro recensito in cui vi ritroverete, che avete letto o del quale magari vi hanno parlato o che vi verrà voglia di leggere, provate a immaginare di non poter andare nella prima libreria vicina ad acquistarne una copia. Provate a immaginare la mancanza totale di accesso a un testo scritto, che non sia una fotocopia accartocciata e arruffata passata di mano in mano. E provate a pensare ai costi di un libro di testo…..dunque se Sergio ha ragione ci dovremmo aggirare attorno ai 20.000 accessi. Ce la facciamo a raccogliere qualche libro per Kindu? ... Ok, comincio io...

Ah! … PASSATE PAROLA …

Olivia



Per sostenere il progetto di raccolta fondi per l’acquisto di materiale librario destinato a riempire gli scaffali della futura biblioteca di Kindu, visitate la pagina:

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mercoledì 4 maggio 2011

Un veloce passaggio per lasciare una poesia....

I giacigli per la notte


Ho sentito dire che a New York
all'angolo della 26a strada e di Broadway
nei mesi invernali ogni sera c'è un uomo
e ai senzatetto che si radunano
pregando i passanti procura un giaciglio per la notte.

Con questo il mondo non cambia,
le relazioni fra gli uomini non migliorano,
l'epoca dello sfruttamento non è per questo più vicina alla fine.
Ma a qualcuno non manca un giaciglio per la notte,
il vento viene tenuto lontano da loro per una notte,
la neve destinata a loro cade sopra la strada.

Non deporre il libro tu che leggi, uomo.
A qualcuno non manca un giaciglio per la notte,
il vento viene tenuto lontanto da loro per una notte,
la neve destinata a loro cade sopra la strada.
Ma con questo il mondo non cambia,
le relazioni fra gli uomini per questo non migliorano,
l'epoca dello sfruttamento non è per questo più vicina alla fine.


Bertolt Brecht

venerdì 18 febbraio 2011

Bernadicta e Olive (comme la femme du Président) meglio note come “Marie”!!!!!


Eccoci qua! Finalmente anche da Kindu, malgrado i problemi di comunicazione, arrivano notizie!
Dunque, da dove cominciamo… dal titolo del post. Proviamo a spiegarvi come ragiona un kindulese medio.
Fino ad oggi solo due bianche impavide e spavalde si aggiravano per le strade di Kindu: Maria e Maria, le due ex servizio civiliste che ci hanno precedute e che sfortunatamente avevano lo stesso nome. Dal che, il kindulese medio deduce che tutte le bianche si chiamano Maria. Dal momento in cui a popolare le strade di Kindu erano solo le due Marie nessun problema. Ma due nuove giovani e sprovvedute hanno preso a girare a piedi e in moto per le strade della città…e all’unisono un coro si leva: “Marieee!!!!”.
La maggior parte del nostro tempo, lavorativo e non, lo dedichiamo quindi a cercare di far capire al kindulese medio che non tutte le bianche si chiamano Maria e che noi stesse abbiamo due nomi diversi.
Per Olivia la vita è già più facile, dato che la moglie di Kabila, il Presidente della RDC, si chiama come lei. E il kindulese medio adora l’idea che una donna bianca possa chiamarsi come la femme du Président!!
Per Benedetta, invece, le cose si complicano…. Il suo nome è sottoposto a storpiature di ogni genere: si va da Bernadette a Benedicte, a Benaditta fino ad arrivare alla somma sintesi….Bernadicta! Peggio ancora se propone il suo soprannome: Bebe, che inevitabilmente in un paese francofono si trasforma in Bebé….
Basta! Chiamateci come vi pare!!
Ieri la svolta che segna l’inizio di una nuova era. Johanna una cooperante inglese in moto per le strade della città è stata chiamata a gran voce: Oliviaaaaaa!!!
Insomma, tra un disastro lessicale e l’altro, cominciamo a raccogliere i primi frutti del nostro duro lavoro!
Un bacio a tutti.
Bernadicta e Olive

giovedì 27 gennaio 2011

On the road again

In partenza. Ancora una volta. Adesso verso casa, solo per pochi giorni. Giusto il tempo di preparare le valigie per una nuova destinazione. Stavolta molto lontano: Kindu, Repubblica Democratica del Congo. Il treno ha già lasciato la stazione di Milano. Cerco qualcosa di malinconico tra i files audio, una colonna sonora che si accordi al mio stato d’animo. Che bella la malinconia, restituisce alle partenze tutto il loro senso. Perché nessuno di noi sta fuggendo. E nessuno di noi parte a cuor leggero. È davvero difficile lasciare le persone e i luoghi che ami. Mi pare che ogni partenza apra una nuova ferita. Poi, col tempo, quella ferita si cicatrizza e si riempie di significati. Diventa parte di te, racconta la tua storia e resta a ricordo dei volti, dei paesaggi, degli incontri e delle esperienze vissute.

…tra una settimana a quest’ora, dopo tre lunghi giorni di viaggio, sarò a Kindu…


E ai miei compagni dedico questa canzone!


Nica 1 Nica 2

Eccoci, ultimo giorno in Caritas. Ieri abbiamo salutato Nica 1 e Nica 2 e noi ultimi SCE siamo qua ancora per poco. Cerco di organizzare un pranzo di saluto con gli SCE che incontro negli uffici e nei corridoi.
Allora auguro ai nicaraguensi un buon viaggio e uno splendido inizio d'avventura!!!
Ragazzi.....ci siamo!!!!! Taaaaaaac!!!

martedì 18 gennaio 2011

RDC


Dunque… abbiamo appena vagliato le possibilità di partenza con Maurizio e Benedetta.

Entro il 4 febbraio sarò a Kindu, Repubblica Democratica del Congo. Manca davvero poco…

Ah! Già.. io sono Olivia e mi preparo a un anno di vita nel cuore dell’Africa.

Il mio umore cambia alla velocità della luce in questi ultimi giorni di formazione qua a Milano. Certo, ho scelto io di partire e sono entusiasta di questa nuova avventura, ma le emozioni che mi trovo a vivere in questi giorni sono così diverse e contrastanti che a volte ne vengo sopraffatta. Mi mancheranno le persone che lascio sparpagliate in giro per l’Italia e spero di ritrovarle tutte al mio rientro.

Ci sono ancora molte domande alle quali non ho una risposta. Tutto si definirà e prenderà forma strada facendo. Che curiosità e che voglia di riempirmi gli occhi di un universo assolutamente nuovo per me.

Così ci siamo, un nuovo viaggio inizia e il mio cammino continua. Chissà dove mi porterà e cosa mi regalerà quest’anno così intenso che mi aspetta.

Poche parole per ora, un saluto a chi rimane e ai compagni di sce che partiranno per altre destinazioni.

E una citazione di Kerouac che ci sta sempre bene prima di una partenza…

“Le nostre valigie logore stavano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo altro e più lungo cammino da percorrere ma non importa, la strada è vita...”

Olivia